Il mito della bistecca newyorchese racconta l’arte della frollatura
L’arte della frollatura e qualità della carne. Leggo su Repubblica un concetto che personalmente – e chi legge questo blog lo sa – vado ripetendo fino a sgolarmi.
Bisogna mangiare meno carne ma di qualità maggiore
E la carne da stagionare nelle celle Dry Ager è gioco forza una carne di qualità alta, perché non avrebbe senso stagionare una carne di cattiva qualità.
La frollatura richiede qualità
Di conseguenza, tutta la filiera della stagionatura della carne, dalla scelta dell’allevamento, della cura dell’animale e della sua alimentazione, da come è vissuto e cosa ha mangiato, dall’età della macellazione – il più tardi possibile checché ne dicano i fautori della macellazione giovane, presuppone e richiede una carne di grande qualità, altrimenti la stessa procedura di frollatura-stagionatura, e l’attenzione che si deve dedicare a questo processo, non hanno alcuna ragione di esistere.
Lo speciale di Repubblica, che ha sentito alcuni ristoratori americani che praticano l’arte della frollatura (perché prima ancora di una tecnica, la frollatura è un’arte), racconta cose note e meno note che vale la pena sottolineare.
La lezione americana sulla frollatura
Dice David Berson, comproprietario del ristorante Peter Luger, considerato il Fort Knox della carne, a Brooklyn, New York:
“Gira tutto intorno alla qualità della carne, cerchiamo molto marmo”, spiega Berson facendo riferimento alla marezzatura, proprietà che indica la distribuzione del grasso all’interno del tessuto muscolare. “A seconda della quantità e della forma con cui il grasso si infiltra nelle fibre, la carne può presentare delle venature simili a quelle del marmo (da cui il termine carne marmorizzata), e questo è indice di qualità: più alto è il grado di marezzatura e più pregiato sarà il taglio, visto che durante la cottura il grasso finemente distribuito si scioglie, conferendo sapore, fragranza e morbidezza”.
Il processo di frollatura in nordamerica
Il processo di dry-aging secondo il ristorante? “Quando le carni raggiungono la fine del processo di ‘dry-aging’, l’esterno appare essiccato e ruvido, il che significa che l’umidità è stata estratta. Terminata questa fase il pezzo di carne probabilmente diminuirà in dimensione di circa il 20%. A questo punto il grasso in eccesso viene tolto, ogni specifico taglio con il proprio metodo, e dopo essere stata divisa, la carne va in cottura, dove passa dalla fiamma al piatto in pochi secondi”.
Da Peter Luger la bistecca è una religione: aperto nel 1887, anche oggi il ristorante non tradisce le origini, è un’azienda a conduzione familiare e dopo la morte, nel 1941, del proprietario che ha dato il nome al locale, è stato gestito dai suoi eredi. La sala, nell’edificio in mattoni all’ombra del ponte di Williamsburg, ha mantenuto lo stesso stile, con i pannelli di legno alle pareti, il servizio senza fronzoli e il menù corto, dove tutto ruota intorno alla Usda Prime Beef (ossia certificata con un marchio di qualità, e che rappresenta solo il 2% di tutta la carne bovina prodotta negli Usa), con tagli provenienti da mucche nutrite a mais e cereali e allevate in Iowa, Nebraska e altri stati delle pianure, poi passati alla frollatura nella loro ‘aging box’. Si può scegliere la bistecca singola, per due, tre o quattro, e l’entrecote.
Ma non solo. L’articolo di Repubblica racconta anche di altri templi della carne, nordamericani ma non solo. E tutti raccontano che dalla frollatura non si torna più indietro.
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